Il fenomeno del Drop Out

il Drop Out è l’abbandono precoce nello sport, una specie di “malattia” in grado di colpire i ragazzi/e dai 14 anni in su che praticano sport a livello agonistico e che lo hanno fatto per anni senza grossi problemi e con passione. Ad un certo punto, quasi come una reazione a catena, molla uno… e poi un altro… e un altro ancora: circa il 40% degli sportivi dai 14 anni ai 20… non è più uno sportivo.

Mettendoci nei panni di una società sportiva è un vero e proprio dramma: su 30 ragazzini/e, 10/15 se ne andranno. Perché?


… ecco, la domanda è perché?

I nostri vicini Francesi, in campioni simili per età e sport, le percentuali nei diversi studi oscillano fra il 14 e il 17%.

Per quanto riguarda l’Italia da una ricerca condotta dalla Scuola dello Sport del CONI dal titolo “Abbandono sportivo” si sono ricavati questi dati: il 60% non praticano nessuna disciplina, il 17% non hanno mai praticato; il 43% hanno praticato e hanno abbandonato.

Tra i praticanti che sono il 40%, il 50% praticano ma hanno cambiato sport; il 50% praticano e non hanno cambiato sport. In uno studio riguardante l’abbandono giovanile tra gli atleti di alto livello, si è scoperto che coloro che abbandonano hanno partecipato ad allenamenti o hanno iniziato ad allenarsi in età giovanile, quindi precocemente.

La risposta total team

È interessante notare quindi come, la specializzazione precoce dei giovani atleti, insieme a fattori fisici, i modelli di formazione, il livello di maturazione, i fattori psicosociali, l’allenatore, i genitori e le influenze dei coetanei, interagiscano tra di loro influenzando i processi decisionali che portano poi al fenomeno dell’abbandono sportivo.

In un panorama così ci siamo posti delle domande e abbiamo cercato di calarci nella nostra realtà montana.





La risposta

Multilateralità

La tentazione di iniziare un allenamento specializzato troppo presto può essere molto grande, specialmente quando il giovane atleta dimostra un rapido sviluppo in un’attività sportiva.

Ma l’uso di un piano di sviluppo multilaterale è estremamente importante durante le prime fasi dello sviluppo di un atleta, i suoi anni formativi, in quanto pone le basi per le fasi successive, quando la specializzazione diventa un punto focale maggiore del piano di allenamento. Se attuata correttamente, la fase di allenamento multilaterale consentirà all’atleta di sviluppare le basi fisiologiche e psicologiche necessarie per massimizzare le prestazioni più avanti nella sua carriera.

Perché la multilateralità?

1) Per stabilire il più precisamente possibile le attitudini di un ragazzo è necessario che le sue doti fisiche vengano sviluppate in ogni loro aspetto.

2) Nel tempo, ci sono evoluzioni nei materiali e nelle tecniche. Solo un atleta con alti livelli di capacità coordinative, sviluppate in età giovanile attraverso attività multilaterale, può trasformare le tecniche già acquisite.

Nello stile di vita attuale post covid, secondo gli psicologi, è importante mettersi in gioco esplorando la propria atleticità e confrontandosi con sport e attività sempre nuove. Inoltre, effettuare regolarmente allenamenti multidisciplinari, praticando discipline molto differenti tra loro, è un modo per tenersi in forma divertendosi e consente anche di lavorare su diverse aree e muscoli, andando a tonificare tutto il corpo. Sicuramente non sarà la risposta al Drop Out ma sicuramente è un fattore che aiuta ad abbassare la tragica statistica dell’abbandono sportivo in Italia.



patrimonio motorio

La pratica di attività multilaterali produrrà una ricchezza di esperienze, che determinerà apprendimenti significativi, i quali, immagazzinati nella memoria motoria, amplieranno le funzioni motorie producendo nuove abilità. Il risultato sarà quindi un gesto selettivo, in quanto il ragazzo potrà scegliere, dal proprio patrimonio motorio, il movimento più efficiente, ciò lo renderà più sicuro e lo porterà al miglior rendimento.


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